Kiva, far girare soldi, dove servono: “prestiti che cambiano vite”

Nel blog di una simpatica neolaureata della provincia americana, ho scovato questo prezioso sito di microcredito online.
Me lo sono guardato in lungo ed in largo e mi è sembrato serio, affidabile, ormai rodato, pari almeno alle nostre agenzie di microcredito (Banca Etica, circuito MAG, perMicro, Fondz Welfare Ambrosiano…)
Confortato anche dall’esperienza della blogger, ho deciso di provare come funziona.
Si basa ovviamente sull’enorme quantità di piccole/micro somme raccoglibili da tutto il mondo, project linked, con restituzione possibile o probabile o improbabile.
Il rischio è a carico del prestatore, ovvio, mediato dalla valutazione dell’agenzia locale.
Il tasso di costo del prestito per il beneficiario (viene tt spiegato sul sito, in inglese, ma molto ben fatto) varia molto a seconda del paese e dei rischi connessi. A giudicare dalle richieste (e conoscendo peraltro, da miei amici immigrati, quanto €cash in percentuale (qui e là) lasciano ai vari “money transfer” delle loro sudate rimesse, inviate ai loro parenti in patria…!), sono cmq competitivi.
Vi terrò aggiornati.
P.S.: tra i tanti progetti presentati, ho deciso di sostenere quello di Nida, la simpatica signora filippina immersa a mezzo nella risaia dei suoi genitori. Un pò che mi ricorda “l’uomo in ammollo” (under 35 intristitevi k nn sapete cos’era Carosello!), ma sptt una che decide di farsi ritrarre in una foto così ha o no anche grandi doti di comunicazione d’impresa?! Rimborso del prestito assicurato!!! 😉
per finire, se decidete di cliccare su “make a loan”, il “primo giro” è gratis. Ho fatto così anch’io, anche se ora voglio andare a vedere come gli andrà a quel simpatico commerciante ugandese di nome John che vuole dare na svolta lla sua attività acquistando (wow!) un frigo…
stiamo umani!!!

Alex Schwazer ed i mediocri.

Alex Sckwarz e i mediocri.

Ci entusiasmano le vittorie, le nostre, prima di tutto, e ci deprimono le sconfitte, le nostre, prima di tutto.

Lo sappiamo: nello studio, al lavoro, nello sport, in famiglia, nella società, non si riesce sempre a vincere, ad emergere, ad essere il numero 1, neanche ad un livello “basico” diciamo, quello familiare, del condominio, del quartiere, del proprio ambito socio-lavorativo… figurarsi correre per salire il podio alle Olimpiadi!

Semplicemente, perché farlo?
Da dove nasce la necessità di essere vincenti?

Puf, mille risposte al quesito, affettive, economiche, educative, biologiche,,,
Ma la risposta che potrebbe essere veramente interessante è: esiste qualcuno (e chi, come, perché…) che è FELICE per il solo fatto di essere mediocre, normale, magari anche leggermente sfigato?!
Preferiremmo essere il più sfigato di tutti? Sarebbe anche questa una corsa all’eccesso, a sfidare il limite, ad esagerare, a voler mettersi in mostra?

L’invisibilità è forse la condanna più atroce, alla non vita, peggio, alla vita senza senso.

Credo qui sia l’inganno di fondo: confondere l’invisibilità con la mediocrità (benigna).

La mediocrità: il dato di non interessare che a poche persone attente, riuscire a tirare avanti, a crescere una famiglia, ovviamente anch’essa mediocre ed imperfetta, stringendo duri compromessi tra i desiderata, le scelte etiche e le quattro cose possibili, anche a costo di duri sacrifici.
Ebbene, questa mediocrità benigna si distingue e oppone a quella, maligna, delle non scelte, dei non sacrifici, delle scorciatoie, dei patti clandestini all’oscuro della coscienza, addormentata o addomesticata.
Questa mediocrità benigna è l’essenza stessa della nostra umanità.

Logico che ci è facile, utile e caro sognare, magari associando i nostri sentimenti di appartenenza, di bandiera, a qualche speranza di vittoria in più. Una volontà di riscatto, quantomeno collettivo, alle nostre piccole vittorie un po’ meschine, senza titoli sui giornali, di piccola quota: il titolo di studio preso senza barare; il posto di lavoro senza essere raccomandati e la promozione sudata senza fare le scarpe al collega; la propria fedeltà di coppia quando i fermenti ormonali lo richiedono, e al progetto sognato tanti anni addietro, quando tutto era più facile; l’offerta del meglio ai propri figli (del meglio possibile per noi, si noti bene, dove il “per noi” sta ad indicare “per noi mediocri” e “non si sa poi loro come lo giudicheranno…”) in termini di offerta formativa, educativa, affettiva; lottare e/o venire a patti coi dolori e col vedere invecchiare questo misero corpo, che tanto non ci piaceva poi già da prima; riuscire anche a perdere tempo in qualche dimensione sociale o politica, rosi dal tarlo se è vero che serve alla società o poi in fondo solo a noi per non stare in casa tutto il tempo…

Ecco perché è legittimo arrabbiarsi ed indignarsi con Schwazer, e con tutti coloro che, così in alto sui podi della comunicazione mediatica e sospinti ancor più su dalla comune bella ammirazione (l’ammirazione del bello, quella che i Greci ben esprimevano col concetto secondo cui “il bello è anche buono”), talvolta capita sembrano volerci spingere in giù, cadendo loro coi nostri sospiri, le nostre volontà di riscatto, le nostre ambizioni frustrate ma sublimate.

Non ci importa come mai loro sì sono famosi e noi no, ci importa non cadano. Ci è funzionale.

Ecco perché è necessario comprenderli, per amarli, non per imitarli, perché in fondo hanno sbagliato come spesso anche a noi mediocri succede. E tirare avanti, né troppo depressi né troppo entusiasti, perché in fondo la vita è questa qua: tutto sta nel non smarrirne il senso, e vivere ed amare, perDio, restano un senso meraviglioso.